Erano gli anni sessanta
Quando Eusebio Francese e la moglie Bianca arrivano da Bianzè, nel Vercellese, e scorgono un casolare sperduto fra le risaie di Gionzana, nell’aperta campagna di Novara, senza parlarsi capiscono che quel luogo sarà l’inizio di una lunga e straordinaria avventura, la terra promessa che cercavano. Eppure quel cascinale, la Canta, per tanto tempo era rimasto un luogo quasi famigerato, da evitare. Il passato non depone a favore: più tardi i due ‘giovani’ agricoltori scopriranno che qui la storia del brigantaggio di fine Ottocento e inizio ‘900 ha avuto un capitolo importante tanto che chiunque abbia avuto il coraggio o commesso lo sproposito di abitare alla Canta, è stato ribattezzato come Mandian d’la Canta (brigante della Canta). Oggi, a 93 anni, Eusebio che porta il nome del patrono di Vercelli e del famoso calciatore lusitano, sorride di quel soprannome, anzi ne racconta le origini.
La leggenda del ‘Biondino’
Si racconta che alla Canta fosse di casa un famoso bandito, quel Francesco Demichelis detto il Biondino che agli inizi del ‘900 imperversava nella pianura, in bilico tra scorribande, assalti, ferimenti, omicidi ed episodi che gli valsero anche la fama di rubacuori. Un Passator Cortese del Piemonte che divise la sua leggenda con un altro compagno, il Moretto, fino al giorno in cui, era primavera, i carabinieri scovarono il Biondino sull’aia di un cascinale del Vercellese dove stava volteggiando in una mazurka con una mondariso perduta negli occhi azzurri del giovane brigante. Inseguito e braccato, fu finito a colpi di fucile su un argine della risaia.
I suoi complici di vita vagabonda e ai limiti della legalità si rifugiarono nel Novarese, alla “Canta”, uno dei tanti nascondigli del Biondino che più di una volta sceglieva proprio questo cascinale appartato per rifocillarsi prima di riprendere il cammino. La storia di quella banda nonno Eusebio l’ha voluta imparare tutta, anche nei particolari, e oggi indica a chi arriva in cascina la porta attraverso cui il 29 novembre 1905 i carabinieri di Novara, la Giuana come chiamavano allora i militari dell’Arma, fecero irruzione in quello stanzino: ci fu un conflitto a fuoco, tre briganti caddero riversi sul pavimento, un carabiniere rimase ferito. Altri complici cercarono scampo attraverso i campi ma fu una corsa breve: braccati, dovettero arrendersi e così fu messa fine alla leggenda del Biondino e della sua banda.
Spiriti, fantasmi e una meridiana
A pesare sulla Canta non c’era solo questa vicenda, ma anche il racconto di spiriti e fantasmi che aleggiavano nelle sere di nebbia. Eusebio e Bianca però guardarono oltre e forse anche animati dal desiderio di sfidare quel passato e le dicerie, si rimboccarono le maniche. C’era molto, tutto da rifare per mettere in piedi un’azienda e scommettere sul futuro. Nei lavori di ristrutturazione scoprirono sul muro della casa i resti di una meridiana, risalente al 1700. Si rivolsero a un restauratore e oggi quell’opera, oltre a essere funzionante, è diventata anche il simbolo e il logo dell’azienda.